"Eravamo tutti eccitati come scolarette all'idea di un nuovo drama della sceneggiatrice di Goblin e Mr.Sunshine con Min Ho post militare che fa il suo ritorno trionfale, Do Hwan lucido e impettito e una trama super intrigante. I teaser e le foto promozionali mi hanno mandata in orbita, poi ho iniziato a guardarlo e la gravità ha fatto il suo lavoro, facendomi precipitare nel baratro del WTF".
Antonella Bellecca
Biglietto A/R per New York: 1.000 euro. Camera in affitto per un mese: 600 euro. Adorazione Eucaristica nella Cattedrale di San Patrizio: senza prezzo.
giovedì 2 dicembre 2021
Miraphorando: K-drama della settimana: The King: Eternal Monarch
venerdì 26 marzo 2021
VIA URBANA
La Via Urbana è una strada del centro storico di Roma, a metà tra i Rioni I Monti e XV Esquilino. È lunga 600 metri e si trova alcuni metri sotto la sede stradale della parallela Via Cavour, a causa dell'avvallamento tra il Colle Esquilino e il Colle Viminale. Ha un andamento in discesa, da nord est a sud ovest, grosso modo dalla zona della Stazione Termini alla zona del Foro Romano. Parte praticamente da sotto la trasversale Via Torino, là dove si apre un'ampia rimessa "sotterranea" di auto, che ha l'uscita posteriore su Via Rosmini.
Sulla sua sinistra, come detto, corre quasi parallela la Via Cavour, di qualche metro sopraelevata (Via Cavour comunque è molto più lunga e prosegue oltre i termini di Via Urbana sia in un senso che nell'altro); la parallela di destra è Via Cesare Balbo, ma solo per i primi due terzi; la restante parte forma un trapezio rettangolo con le Vie Panisperna, Leonina e del Boschetto, all'interno del quale corre per 250 metri la parallela Via dei Capocci. Mentre l'isolato tra Via Urbana e Via Balbo è ampio 80 metri, quello tra Via Urbana e Via dei Capocci è largo soltanto 50 metri. Con la Via Cavour passa dalla distanza massima dell'isolato costituito dall'Ambasciata Argentina a Piazza dell'Esquilino, largo circa 80 metri, alla distanza minima di una trentina di metri all'altezza di Piazza della Suburra.
La strada ha tre traverse sul lato sinistro e cinque sul lato destro. La prima traversa a destra è Via Agostino De Pretis, in esatta corrispondenza, a sinistra, con la Piazza dell'Esquilino. Proseguendo si trovano prima Via Ruinaglia a sinistra, poi Via Caprareccia a destra. A metà del percorso circa si trova una lunga ampia traversa, che porta il nome di Via di Santa Maria Maggiore verso sinistra e di Via di Panisperna verso destra. Nell'ultimo tratto ci sono soltanto due traverse sul lato destro: Via de' Ciancaleoni e Via degli Zingari.
Via Urbana riporta 180 numeri civici. È da notare che il numero 1 si trova in un punto apparentemente a caso, ma naturalmente non è così: la strada inizialmente si dipartiva da Piazza dell'Esquilino e solo successivamente il tratto precedente, che finiva sotto la Via Torino, fu accorpato alla Via Urbana e dotato di ulteriori numeri civici. Quindi il numero 1 è il primo portone a sinistra partendo da Piazza dell'Esquilino, che corrisponde all'ingresso delle Suore Oblate di Gesù Bambino, con la data sull'architrave 1872. La numerazione prosegue ininterrotta fino a Piazza della Suburra e l'ultimo civico sulla sinistra è il n.71. Risalendo sulla destra, si continua quindi col numero 72 fino al 167. Tutto questo tratto fa parte del Rione I Monti. Attraversata Via De Pretis, la numerazione prosegue col n.168; l'ultimo grande portone in fondo, che conduce a mo' di galleria, sorta di prosecuzione della strada, sotto la Via Torino, riporta il numero 175. Ma poi completando il giro, di nuovo sul lato sinistro della strada, la numerazione prosegue fino a 180, terminando di nuovo su Piazza dell'Esquilino.
Un'altra cosa da notare è che il breve tratto iniziale, aggiunto, di Via Urbana, non fa parte del Rione I Monti ma del Rione XV Esquilino. La cosa curiosa è che la targa riporta "R. XVIII", cioè il Rione Castro Pretorio, perché nella vecchia suddivisione il Rione XVIII arrivava fino a qui. Questa anomalia si trova anche su altre targhe nel triangolo tra Piazza dei Cinquecento, Piazza del Viminale e Piazza dell'Esquilino.
In epoca romana Via Urbana era denominata Vicus Patricius, poiché era costituita da domus signorili; come spesso accade, bastava fare pochi metri per trovarsi nella zona povera e malfamata della Suburra. L'attuale toponimo deriva dal papa Urbano VIII (1568-1644).
martedì 9 marzo 2021
IL MIGLIOR TEMPO CHE FU
Ricopio qui per intero un commento che ho trovato su Quora. La domanda "Esiste ancora il corteggiamento di una volta ? Oggi l'uomo non corteggia più?" era stata posta da Alessandra Cordeddu il 28 gennaio 2021. La discussione ha virato velocemente sul confronto tra il mondo di oggi e il mondo di ieri. Tra le varie opinioni ho trovato un commento veramente completo e illuminante che desidero copiare qui per intero. L'autore si firma Robby Shima e ha pubblicato il commento il 27 febbraio; il commento che cita e a cui sta rispondendo è stato scritto da Alessandra Pulga il 23 febbraio. Non sono riuscita a risalire all'età di queste persone, comunque la ragazza afferma di avere vent'anni.
Il punto è che non è una scelta binaria.
Lo “ieri” andava maluccio, ma è un confronto molto utile per notare come oggi le cose vadano invece in maniera catastrofica. L’accusa principale che si può fare all’”oggi” è che si spacciano (peggio: si indottrinano in ambienti molto più autoritari e bigotti di quanto si creda — la scuola, l’intrattenimento, la propaganda politica) comportamenti edonistici per soluzioni, e si finisce con il non notare né i problemi veri, né come queste false soluzioni, a dosi esagerate, diventino parte del problema.
Le generazioni attuali sono le prime da molto tempo, in Europa, a trovarsi davanti la prospettiva di qualità di vita peggiori rispetto ai loro predecessori, e la degenerazione dei costumi sessuali non ne è certo la causa diretta… ma è il panem et circenses del caso. Ciò dovrebbe essere come minimo esaminato in parallelo all’infantilizzazione del cittadino adulto nell’Europa moderna che, in più ambiti, si può riscontrare; l’ampliamento dei piaceri effimeri, se si accompagna ad un peggioramento delle prospettive di vita, non può promettere bene.
Capisco che tu possa sentirti stufa del “pessimismo” che dici di sentire, potrei dire in realtà che empatizzo molto con questo sentimento. Nascere in un mondo di cui i “vecchi” parlano male senza offrire soluzioni applicabili è frustrante. Ma resta il fatto che questo mondo attuale merita molte più accuse di quanto non ne riceva. I “liberati” di oggi hanno tassi di disagi psicologici ben più alti dei “repressi” di una volta, e la colpa non è della “liberazione sessuale” in sé — ma di quelle abitudini incivili per cui ci viene spacciata questa “liberazione” come cura, e di cui invece essa è solo un pericoloso analgesico.
Un altro problema: dici bene che
penso anche che accettare retaggi culturali arcaici, senza porci domande sulla loro utilità oggi, sia un errore tanto quanto esagerare nel loro opposto.
ma il problema è proprio che oggi non ci si chiede cosa avessero di utile quei retaggi culturali. E non mi riferisco allo stereotipo “si faceva perché lo diceva il prete”, questo sarebbe un modo pigro di liquidare la faccenda. Oggi non ci si chiede quale fosse il vantaggio evoluzionistico di comportamenti responsabilizzanti — ma non necessariamente autopunitivi o ipocriti! — che non sono nati cent’anni fa, ma esistono come minimo da quando (migliaia di anni) fa il modello familiare monogamo e “purista” portato dagli Indoeuropei si dimostrò di gran lunga più efficiente, e soppiantò, il mondo più “sbracato” ed egalitario che gli storici ritengono esistesse in Europa prima di allora.
Qualcuno ha detto che le tradizioni sono soluzioni a problemi dimenticati. Ora, i problemi possono venir dimenticati per due ragioni: perché scompaiono da soli, oppure perché la soluzione era davvero tanto azzeccata da tenere a bada il problema al punto che si è finito per dimenticarne l’esistenza. Dunque le tradizioni le si butta via a rischio di veder riemergere problemi dimenticati, e dover inventare la ruota daccapo. E perché? Perché è divertente mettere il coso nella cosa…? Dovremmo pretendere risposte un po’ più serie di così…
I Classici potevano essere bacchettoni, eccome; con meno ipocrisie dei cristiani, su questo mi trovi d’accordo, ma ad un determinato modo di comportarsi ci tenevano comunque davvero tanto. Non ricordavo la storia del Campo Marzio ma Catone è colui che radiò a vita un senatore dal Senato perché era stato visto baciare la moglie in pubblico (il senatore gli chiese perché e Catone rispose, irremovibile ma ironico: “Mia moglie mi abbraccia solo in casa, e solo quando fuori ci sono i fulmini! E Giove sa se non gli sono grato, quando li manda…”), comportamento inaccettabilmente “pubblico”; ma lo stesso Catone fece i complimenti ad un ragazzo che vedeva andare al bordello (“Perché così non insidia le brave ragazze.” Salvo criticarlo quando lo rivide fare la stessa strada: “Ti ho lodato perché ci vai, mica perché ci abiti!”). Esisteva una logica che chiamare ipocrita vorrebbe dire non conoscerne i fini: il sesso non era visto come un male di per sé; ma era pur sempre una componente potentissima della psiche umana che andava imbrigliata e incanalata per il bene comune.
A pensarci bene, Catone è un esempio fantastico: lui è lo stesso che “prestò” la moglie ad un amico perché ci facesse figli. Ma i Romani avevano problemi gravissimi di denatalità, problemi quasi gravi quanto i nostri, dunque tutto si sottometteva al problema demografico (erano tempi in cui la mortalità durante il parto era troppo comune, anche per questo si glorificava il sesso fertile…). Ecco, loro avevano idee chiarissime del perché dei loro “retaggi culturali”, in questo e in altri argomenti affini (non è peraltro una coincidenza che tutte le civiltà funzionanti aborriscano o perlomeno mettano limiti al sesso sterile ed esaltino quello fertile: di nuovo, nel passato ci si faceva molte più domande sul senso di queste cose che non nel ‘68 e nel post-‘68, quando si è preferito diventare “moralmente agnostici” pur di togliersi qualche prurito).
Ad ogni modo, volevo risponderti in maniera concisa e non ci sono riuscito; te ne chiedo scusa. Termino aggiungendo un pensiero che ritengo importante.
Il pericolo davvero mortale legato alla “spudoratezza” di cui parla il signor Carretta nella risposta originale riguarda due conseguenze comunitarie: la spirale della incontinenza emotiva e l’abitudine all’escapismo edonistico.
L’incontinenza emotiva è estremamente pericolosa sul lungo termine perché spettacolarizza comportamenti deleteri a danno di comportamenti efficaci. È un discorso complesso che tralascio qui (ma se ti interessa, ti consiglio questo articolo d’opinione) perché mi interessa il secondo.
L’escapismo edonistico è invece cosa ben più grave, soprattutto a livello sociale: perché non è la soluzione né la ricerca di soluzione, bensì la ricerca di analgesici che non solo non funzioneranno (a lungo termine) ma distraggono dalla ricerca, appunto, di soluzioni.
In un’intervista in cui gli si chiedeva di spiegare il ruolo preminente delle droghe nel suo romanzo distopico (Il mondo nuovo), Aldous Huxley rispose che il loro ruolo era semplice ma indispensabile: “Rendono sopportabili delle condizioni di vita che, francamente, non dovrebbero essere sopportate”.
Peggio ancora in un mondo che non è quello iperregolato del suo romanzo, ma il mondo di rapidissimi cambiamenti sociali e culturali in cui viviamo (troppo rapidi perché l’abitudine abbia “comportamenti testati” da offrirci, per il momento): il povero atomo, che non conoscerà mai né ha gli strumenti per costruirsi né si accorge di non conoscere libertà che i suoi nonni, bisnonni e antenati davano per scontate, si aggrappa ai facilitatori della sua schiavitù (= l’edonismo, l’escapismo, le identità sessuali erette a baluardo polemico contro il resto della sua società ecc.) come se fossero la sua unica ancora di salvezza. E lo sono, se vogliamo chiamare “salvezza” la non coscienza delle sue catene; non lo sono, se con quel termine vogliamo definire la sua uscita dal suo stato di asservimento.
L’ipersessualizzazione è, d’altronde, uno degli ingredienti principali di quella “fogna comportamentale” descritta e analizzata dal Prof. John Calhoun nel suo famoso esperimento della cosiddetta Rat Utopia. Se hai piacere (e tempo), ti consiglio caldamente questo bel documentario. Personalmente l’ho trovato molto più interessante dei soliti confronti con immagini (falsate) di Greci e Romani degenerati:
mercoledì 28 ottobre 2020
I QUATTRO MISTERI CENTRALI DEL ROSARIO
I QUATTRO MISTERI CENTRALI DEL ROSARIO
Come tutti sanno il Rosario completo comprende venti misteri della fede cattolica, suddivisi in gioiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi. I raggruppamenti sono per argomento: la nascita di Gesù, la sua vita pubblica, la passione e la morte, gli eventi successivi alla morte. Essendo cinque per ogni tematica, ne deriva che nella progressione meditativa il mistero numero tre è sempre quello centrale. In realtà questa centralità non è meramente aritmetica, ma teologica. Nella vita terrena e ultraterrena dell’Uomo Dio ci sono quattro momenti significativi che possono darci il senso spirituale dell’intervento di Dio nel mondo.
Il primo mistero centrale è quello gaudioso e naturalmente è la nascita di Gesù. La nascita di Gesù è il momento culminante dell’Incarnazione e quindi della storia di Dio con noi.
Il secondo mistero centrale è quello luminoso: nel momento in cui Dio, dalla sua infinità, si avvicina e si accompagna a noi miseri e miserabili, per raccontarci la nostra grandezza, l’annuncio, la predicazione, il kerigma, ha la centralità teologica, perché il fulcro della venuta di Dio sulla terra è stato farsi conoscere e rivelare il Padre.
I misteri dolorosi hanno il loro centro teologico nell’incoronazione di spine: l’incoronazione di spine ci dice di quale regalità Cristo è venuto a rivestirsi. Ciò che si intende per regalità, nel cristianesimo e nella Chiesa, sta tutto qui: una corona piena di spine conficcata con ludibrio, a farci gettare il sangue. È la corona del martirio.
Infine al centro dei misteri gloriosi abbiamo la Pentecoste. La vera vittoria e gloria ottenuta da Dio attraverso il proprio stesso sacrificio è aver donato il suo Spirito alla Chiesa, una volta e per sempre.
La storia della salvezza, di cui eventi fondamentali sono stati la rivelazione, l’incarnazione, l’istituzione dell’eucaristia, la resurrezione, attraverso i quattro misteri centrali del Rosario ci viene presentata nei suoi momenti di svolta, che potrebbero essere meditati anche uno di seguito all’altro per riflettere su quanto Dio ci abbia amato e che cosa abbia fatto per avvicinarsi alle sue creature e salvarle da se stesse: nascere, predicare, soffrire, donarci il suo Spirito.
lunedì 23 marzo 2020
J A C K R Y A N & J A C K R E A C H E R
mercoledì 5 febbraio 2020
venerdì 19 luglio 2019
"Black Butterfly", recensione e spoiler
Qui arriva il colpo di scena che ricollega la storia al terzo incipit, la sparizione della donna del pic-nic. Pablo afferma di saper riconoscere l’aiuto della provvidenza, quando arriva: si riferisce alla possibilità di far incolpare Jack della morte delle quattro donne. Ma c’è di più: dalle sue parole si capisce come quest’idea gli fosse venuta fin da quando ha visto Jack camminare sul ciglio della strada e gli ha offerto un passaggio e l’ospitalità; il personaggio dello scrittore deluso, se lo è costruito apposta per spingere Jack ad aiutarlo, a trattenersi a vivere con lui, in attesa di trovare l’occasione per incastrarlo. Ha sempre recitato una parte. C’è da dire che tutto questo, riguardando il film, non emerge affatto dalla recitazione di Banderas.
Pablo prosegue riferendo anche dei colpi di fortuna avuti nelle varie occasioni in cui ha potuto sequestrare, violentare, torturare e uccidere le sue vittime (ma tutti questi particolari vengono lasciati all’immaginazione). Pablo tira fuori dalla credenza una scatola contenente i monili che ha rubato alle sue vittime, e la mette nello zaino di Jack. Poi gli spara, ma con sua grande sorpresa i colpi sono a salve. Infine Jack colpisce Pablo atterrandolo.